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Sla, scoperto il gene-chiave:
nuove prospettive per la cura

A scoprirlo è stato un consorzio internazionale di scienziati, coordinati dal King’s College di Londra e dal Centro Medico Universitario di Utrecht (Olanda). Lo studio ha però ricevuto la preziosa collaborazione di due medici dell’Ospedale Civile di Brescia



Stefano Borgonovo, spinto da Roberto Baggio, viene salutato da Cesare Prandelli nello stadio Artemio Franchi di Firenze (Ansa)
«C21 orf 2» sembra un innocuo codice, in realtà identifica un gene che potrebbe cambiare la strategia della lotta ad una malattia neurodegenerativa come la Sla. Quel gene può racchiudere al proprio interno una serie di mutazioni in grado di facilitare lo sviluppo della Sindrome laterale amiotrofica (Sla), per questo motivo individuarlo diventa di cruciale importanza. A scoprirlo è stato un consorzio internazionale di scienziati, coordinati dal King’s College di Londra e dal Centro Medico Universitario di Utrecht (Olanda). Lo studio ha però ricevuto la preziosa collaborazione di due medici dell’Ospedale Civile di Brescia: il professor Alessandro Padovani, direttore della Clinica neurologica e dell’omonimo reparto, e Massimiliano Filosto, neurologo e responsabile del Centro per lo studio delle malattie neuromuscolari.
Nuove prospettive per la cura
Pubblicato martedì 26 luglio sulla rivista internazionale «Nature Genetics», lo studio potrebbe aprire nuove prospettive per la cura di questa malattia. L’indagine ha infatti permesso di rilevare tre nuovi fattori di rischio genetici per la Sla. E l’esistenza di uno di questi, il «C21orf2», aumenta le possibilità di sviluppare la malattia del 65 per cento. Isolare questo gene, e modificarlo utilizzando la «terapia genica», permetterà in futuro una serie di «trattamenti personalizzati» per le persone che soffrono di Sla. Semplificando, diventerebbe possibile per la prima volta sostituire i geni «difettosi» o aggiungerne di nuovi. Dando speranza a centinaia di persone che ne soffrono. In Italia, la Sla è classificata tra le malattie rare e viene riscontrata in 1 o 3 casi ogni 100 mila persone. La sensibilità è cresciuta perché il morbo ha colpito personaggi famosi come il fisico Stephen Hawking , il calciatore Stefano Borgonovo, il presidente dell’Aifa Mario Melazzini, ma anche Ezio Bosso, il pianista che aveva commosso mezza Italia durante l’ultimo Sanremo. «È una malattia devastante - confermano Padovani e Filosto - ma la scoperta del gene C21orf2 rappresenta un importante tassello nel lungo cammino che deve portarci a comprendere le cause e i meccanismi che sottendono allo sviluppo della degenerazione motoneuronale». Che interessa cervello e midollo spinale, ma poi comporta l’indebolimento progressivo di tutti i muscoli, compresi quelli respiratori e della deglutizione. Quando si percepiscono i sintomi della Sla, l’aspettativa di vita è, in media, tra i due e i cinque anni. Ecco perché la ricerca diventa fondamentale. Ma per arrivare a scoprire quei tre fattori di rischio (tra cui il C21orf2) ricercatori e medici hanno coinvolto 15 mila pazienti con Sla ed eseguito 26 mila controlli su pazienti sani: in totale è stato studiato il genoma di 1.861 individui, testando quasi 9 milioni di varianti per il rischio di sviluppare la Sla. Un lavoro immane che ha visto il contributo decisivo del Civile: a dimostrazione che a Brescia il binomio ospedale-università ha creato, negli anni, delle eccellenze.

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